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set tembre 2016

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Studi

Formazione / Studi

L’articolazione dei dati per classe dimensionale di addetti mostra in termini chiari che parte dei lavoratori espulsi dalle

grandi aziende ha trovato occasione di impiego nel segmento delle micro imprese.

Questo fenomeno ha coinciso con un aumento dei livelli medi di istruzione, tendenza indubbiamente favorita dall’anda-

mento differenziato della domanda di lavoro tra i settori durante la recessione.

La sensibile riduzione degli occupati nelle costruzioni, nell’industria e nel commercio ha probabilmente interessato

maggiormente la forza lavoro con livelli bassi di istruzione, mentre la performance positiva degli altri servizi ha favorito l’acces-

so al lavoro degli addetti con istruzione superiore.

• I lavoratori classificati al primo livello, fino alla licenza media, si sono ridotti di quasi 1,5 milioni di unità, - 22,2%, mentre

quelli in possesso di diploma sono diminuiti solo del’1,4%.

• Eclatante la performance degli addetti con diploma di laurea, cresciuti del 25,1% nel complesso delle Pmi, del 38,8% nel

segmento delle micro imprese, del 33,9% in quello delle piccole imprese e del 7,6% in quelle delle medi imprese.

• La struttura dell’occupazione per grado di istruzione è profondamente cambiata nell’insieme dell’universo Pmi: durante l’ar-

co di tempo considerato, 2007-2015, la quota dei lavoratori con il titolo di licenza media è passata dal 41% al 34,1%, quella

dei diplomati è aumentata dal 46% al 48,5%, quella dei laureati è salita dal 13% al 17,4%.

• Il trend generalizzato di miglioramento del livello di istruzione della forza lavoro delle Pmi non può nascondere le marcate

differenze che caratterizzano l’apporto della forza lavoro più istruita nelle 3 classi dimensionali di addetti: nel 2015 i laureati

rappresentano, infatti, solo l’11,8% degli addetti nelle micro imprese, il 18,7% nelle piccole imprese, il 27,1% nelle medie

aziende.

I progressi compiuti dalle Pmi nella qualificazione della loro forza lavoro sono rafforzati dall’impegno profuso nell’attività

di ricerca e sviluppo.

“(…) Secondo i dati Eurostat, gli occupati impiegati in attività di R&S sono aumentati nelle Pmi italiane del 49.4 per

cento tra il 2007 e il 2013. Si tratta di una variazione maggiore sia se confrontata con l’incremento totale degli addetti alla R&S

in Italia, sia se paragonata alla crescita di questa categoria nelle Pmi dei principali partner europei. In particolare, il numero

degli addetti in attività di ricerca nelle Pmi italiane, circa 50mila persone, non è molto distante da quanto si osserva nelle Pmi

delle altre maggiori economie europee. Queste informazioni dimostrano che anche attività innovative ad elevato contenuto di

capitale umano vengono realizzate in Italia da parte di aziende di dimensione piccola e media, a fronte del ritardo cronico che

invece continua a caratterizzare l’economia nel complesso” (Ref Ricerche, Globali e Digitali, Pmi oltre la crisi, rapporto redatto

nel mese di maggio 2016 per Rete Imprese Italia, pag. 24).

Conclusioni

Le imprese, quale sia il loro settore di attività o la loro classe dimensionale, devono realizzare un profitto e tale profitto

deve essere di entità sufficiente a sviluppare la propria capacità competitiva per potersi garantire un lungo orizzonte temporale

di vita.

In un mercato sempre più affollato di operatori che producono gli stessi beni e servizi si avverte pressante l’esigenza di

individuare nuovi prodotti, di introdurre nuovi processi, di raggiungere nuove fasce di clientela con l’obiettivo di aumentare le

vendite e di ridurre i costi di gestione.

I dati dimostrano che le Pmi, pur pagando un prezzo salato alla crisi in termini di perdite occupazionali, hanno saputo

affrontare il cambiamento mediante il ricorso ad una forza lavoro più istruita e qualificata, maggiori investimenti in R&S, minori

disparità di genere e cittadinanza.

Nella loro articolata condizione dimensionale, dalla micro unità all’azienda di media scala, le Pmi possono trovarsi ad

agire secondo due distinte impostazioni strategiche.

Nei mercati dove le barriere all’entrata sono elevate e le economie scala rilevanti possono partecipare alla catene di

valore globali dirette dalla grandi organizzazioni, presidiando singole fase della filiera o specifiche aree territoriali.

Nei mercati dove le barriere all’entrata sono limitate, le economie di scala meno importanti, la diversificazione del pro-

dotto/servizio essenziale per il successo del business possono valorizzare il loro ruolo di leader della qualità e della originalità

del prodotto e del format, adottando le innovazioni tecniche ed organizzative, che consentano loro di competere in maniera

efficace con gli altri operatori, grandi o piccoli che siano.