set tembre 2016
Studi
Formazione / Studi
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Un eclatante esempio del ruolo neutrale dell’innovazione digitale sul grado di concentrazione dell’offerta riguarda il
successo del sito Booking, che ha permesso di mettere in contatto le micro imprese dell’ospitalità ricettiva con la clientela
internazionale, mandando letteralmente in frantumi l’intermediazione dei grandi tour operator.
“In conclusione, le relazioni fra imprese grandi e piccole sono ambivalenti. Rifugiarsi dietro paradigmi quali “piccolo è
bello” oppure “la grande impresa è il futuro” può impedire di cogliere la complessità delle relazioni che governano la trasforma-
zione dell’economia, mettendo in ombra le grandi opportunità che si stanno aprendo per i prossimi anni. Ciò che invece tra-
spare con nitidezza dai cambiamenti degli anni passati è la velocità della trasformazione, e l’importanza della capacità di adat-
tamento rispetto ai mutamenti del contesto economico” (Ref Ricerche, Globali e Digitali, Pmi oltre la crisi, rapporto redatto nel
mese di maggio 2016 per Rete Imprese Italia).
La caduta della domanda interna di questi anni ha senz’altro ostacolato e rallentato il percorso della Pmi verso l’inno-
vazione, la sua mortalità imprenditoriale è aumentata, l’accesso al credito è risultato sempre più difficile e penalizzante rispetto
alle grandi imprese, ma tutte queste difficoltà non hanno impedito alle micro imprese, fino a 10 addetti, di accrescere la loro
dotazione di forza lavoro con 375mila nuovi occupati tra il 2011 e il 2015.
Molte piccolissime aziende hanno assorbito l’occupazione espulsa altrove, ma nello stesso tempo le Pmi sono riuscite
a compiere significativi passi avanti in direzione del cambiamento.
Hanno riequilibrato la loro composizione di genere, hanno accolto un maggior numero di lavoratori stranieri, hanno
migliorato il grado di istruzione delle loro risorse umane e, infine, sono anche riuscite ad investire di più in ricerca e sviluppo.
Una visione realistica del ruolo delle Pmi
In tema di scala dimensionale di impresa non è raro imbattersi in posizione estreme; da una lato l’esaltazione della
preminenza assoluta delle Pmi, dall’altro lato il pregiudizio secondo cui una piccola impresa è strutturalmente poco propensa
all’ innovazione.
I dati permettono di svelare l’inganno insito in queste due visioni deformate della realtà.
In tema di rilevanza delle Pmi nell’economia del Paese quasi sempre si cita il fatto oggettivo che le unità locali delle
aziende con meno di 10 addetti rappresentano il 95% del totale, trascurando di considerare che a questo primato in termini di
soggetti che fanno impresa corrisponde un peso occupazionale molto più contenuto.
Una visione realistica del contributo che le Pmi danno all’economia di questo Paese può emergere dalla rappresenta-
zione di entrambi gli elementi, quota di ciascun classe dimensionale in rapporto sia al numero di unità locali, che al numero di
addetti.
• A livello nazionale le micro unità locali delle imprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95% del totale, ma il loro peso
in termini di addetti non supera il 52% del totale. La domanda di lavoro è, quindi, sostenuta in misura rilevante da tutte le
altre classi di grandezza, ciascuna delle quali presidia una quota importante del complesso: il 23,2% la classe da 10 a 49
addetti, il 15,7% quella da 50 a 249 addetti, il 10% la classe maggiore, 250 addetti e oltre.
• A livello regionale la quota delle micro imprese sul totale dei soggetti imprenditoriali non si discosta troppo dalla corrispon-
dente quota nazionale (93,9%), mentre è decisamente più contenuto il suo peso occupazionale, 43,9%, 7 punti percentuali