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ASSEMBLEA CONFCOMMERCIO - L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE SANGALLI

Assemblea Confcommercio - Sangalli: Le nostre imprese fanno i territori, le città, li rendono luoghi unici, li preservano, li presidiano, li promuovono.

La Confcommercio è una forza popolare. E al “popolo degli imprenditori” non si parla per scorciatoie.

 

 

 

Caro Ministro Calenda, Cari Ministri, rappresentanti del Governo, Parlamentari, Autorità, gentili ospiti, amici della Confcommercio, buongiorno a tutti.

Benvenuti all’Assemblea di Confcommercio Imprese per l’Italia.

 

 

L’Europa

Era Parigi. Era il 1955.

Alcide De Gasperi sosteneva: “bisogna fare l'Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale”.

L’Europa, allora, era una scelta di campo, in un mondo separato da cortine di ferro.

Oggi è una scelta di senso in un mondo connesso, eppure contradditorio.

Scegliere l’Europa oggi significa scegliere la Pace, in un contesto di guerra “a pezzi”, come dice Papa Francesco.

La guerra a pezzi del terrorismo che semina morte.

Non rinunciare alla vita di tutti i giorni significa difendere la civiltà.

E oggi, noi ci stringiamo alle famiglie delle vittime di tutti gli attentati.

Scegliere l’Europa significa scegliere il Progresso, sapendo che lo sviluppo oggi si fa “insieme”.

Significa scegliere la Giustizia Sociale, chiave di volta dell’Europa dei popoli.

L’Europa, insomma, è la nostra comunità di scopo e, soprattutto, quella di destino.

Il tema dell’Europa, di quale Europa vogliamo e di come vogliamo costruirla, deve essere al centro della politica nazionale, a partire dai programmi delle prossime elezioni.

Perché dentro al perimetro dell’Europa ci sono i temi della nostra quotidianità.

Ci siamo noi.

Ci siamo noi, come cittadini e come imprenditori.

L’Europa è per noi una questione vitale, dove l’orizzonte non è sopravvivere, ma crescere.



Quadro economico e prospettive

Crescere in una dimensione politica e istituzionale è la cornice fondamentale per avere anche maggiore, e migliore, sviluppo economico.

Per tasso di crescita economica, l’Italia occupa gli ultimi posti in Europa.

Tuttavia, gli ultimi mesi ci consegnano alcuni apprezzabili indizi di vitalità, che vanno sostenuti con l’unica strada percorribile: accelerare sulle riforme.

E’ presto, crediamo, per parlare di svolta, ma va sottolineato il risveglio dell’occupazione in aprile, dopo un letargo di sette mesi. Come va riconosciuto pienamente il ruolo dei servizi di mercato, cioè dei nostri settori, nell’accelerazione del PIL nella prima parte del 2017.

Magari per qualcuno sarà una sorpresa, per noi rimane nient’altro che una conferma.

Senza i gravi difetti strutturali che frenano il nostro sistema produttivo, oggi potremmo sperare in un traguardo al 2% del PIL per l’anno in corso.

Ma i difetti strutturali, purtroppo, ci sono.

Eccesso di burocrazia, deficit di legalità, fragilità del sistema infrastrutturale e dell’accessibilità, ingiusto fardello tributario e insostenibile costo del lavoro che gravano su famiglie e imprese: restano sul tappeto – a volte anche sotto il tappeto - le principali questioni che frenano da oltre venti anni la crescita economica e lo sviluppo sociale del Paese.

 

 

La politica

Per affrontare tutto questo, ci vuole una politica “alta”, per visione e coraggio, e insieme “dentro” la società, capace di affrontare i problemi dal basso e in profondità.

Non ci convince quella politica che rimane in superficie e asseconda l’onda, anche se può sembrare “l’onda perfetta” del consenso, da cavalcare magari con la tavola della disintermediazione.

Ci piace invece quella politica di profondità che si sforza di capire e sa allearsi con la società civile organizzata.

Per noi partire dal basso, assicurare l’effettiva partecipazione delle forze sociali alle scelte politiche, non è solo una questione di principio, di quel principio di sussidiarietà che fa parte del nostro impegno quotidiano.

Per noi, resta una questione di tenuta del sistema Paese.

Chiamare in causa i corpi sociali, lavorare insieme, significa attivare la loro funzione “generativa”, cioè andare oltre la propria esperienza personale e professionale, per privilegiare le scelte orientate al futuro collettivo.

Essere generativi significa – in sostanza - essere riformisti.

Penso alle Camere di commercio, avviate in un difficile cammino di riforma, dove abbiamo fatto prevalere – lo sa bene il Ministro Calenda - le ragioni dello stare insieme dei territori, delle imprese, del pubblico e del privato. E tutto questo all’insegna di funzioni chiare, insieme al contenimento dei costi, per fare di più e meglio, con meno.

Penso alla “seconda – e ultima - occasione” per il Cnel. Insieme agli amici di Rete Imprese Italia abbiamo in mente un’idea di riforma del Cnel - in linea col dettato costituzionale - che sia ristretto, snello ed autorevole. Ed utile. Nel definire – ad esempio - le regole per pesare la rappresentanza e razionalizzare quella giungla di oltre 700 contratti collettivi il cui unico scopo, troppo spesso, è quello di giustificare l’esistenza in vita di una qualche associazione.

 

 

Lavoro e welfare

Come Confcommercio siamo sin da subito disponibili a “contarci”, fattore qualificante di una vera democrazia economica.

E lo abbiamo ribadito anche nella “pratica riformista” dell’accordo sul modello contrattuale che abbiamo sottoscritto con Cgil, Cisl e Uil lo scorso novembre. Un modello che consente di ritagliarsi un “abito su misura” dentro un quadro generale e valido per tutti.

I contratti collettivi nascono come accordi tra parti, certo. Ma sono un “capitale sociale” di tutti.

Il nostro sistema sottoscrive una pluralità di contratti, a partire da quello del terziario, il più diffuso di questo Paese, che da sempre anticipa i tempi, coniugando tutele e welfare con soluzioni di flessibilità e produttività per le imprese.

Dalla contrattazione nazionale, da lungo tempo, il nostro mondo ha saputo costruire un poderoso sistema di welfare integrativo che raggiunge milioni di lavoratori.

E cosa sono questi se non strumenti di giustizia sociale?

Sono strumenti che, solo se sostenuti da idonei incentivi, possono continuare a garantire quella funzione di “secondo pilastro” che in altri Paesi europei è già matura.

Investire, inoltre, sulle “politiche attive” diventa una scelta strategica.

Abbiamo apprezzato le nuove misure a sostegno dell’alternanza scuola lavoro e delle assunzioni al Sud.

Formare giovani e inserirli nel mercato del lavoro è d’altra parte un’antica vocazione del terziario di mercato, del nostro mondo.

Pensiamo all’utilizzo fondamentale dell’apprendistato nelle nostre imprese. Un istituto che richiama l’apprendere, il tempo necessario – insomma - per “fare” di un dipendente un collaboratore.

E assistiamo con preoccupazione, ad esempio, al taglio delle agevolazioni per le piccole imprese dell’apprendistato professionalizzante.

Come Confcommercio abbiamo sempre investito nella formazione professionale al punto che oggi rappresentiamo il più grande sistema formativo, dopo quello pubblico.

Tornare indietro, modificare continuamente il quadro delle regole non agevola gli investimenti produttivi.

Le norme, anche quelle sul lavoro, non sono come gli abiti, non possono cambiare ad ogni stagione!

E il pensiero corre alla paradossale vicenda dei voucher, dove il merito è stato tralasciato e secondo noi ha prevalso la rappresentazione sulla realtà, lo scontro ideologico sui fatti.

Invece che intervenire sugli abusi, i voucher sono stati cancellati con un colpo di spugna.

Siamo d’accordo con l’intervento del Governo per regolare il lavoro occasionale, ma la soluzione parziale, vittima di troppe mediazioni, temiamo non colpisca il bersaglio.

Che senso ha, ad esempio, aver escluso le imprese sopra i cinque dipendenti?

E perché si è complicato uno strumento semplice quando bastava rafforzare i controlli?



Semplificazione e innovazione

Ci vuole semplificazione.

A partire dal buon funzionamento di quel sistema burocratico che troppo spesso rappresenta solo un costo.

Eppure, anche qui, basterebbe investire in una credibile digitalizzazione per semplificare la vita a cittadini e imprese, accrescendo al tempo stesso la competitività.

E, a proposito di innovazione diffusa caro Ministro Calenda, come sai, abbiamo aderito tra i primi con i nostri ecosistemi digitali alla rete di Industria 4.0, che noi ci ostiniamo a chiamare Impresa 4.0.

Del resto, chi più del terziario di mercato è toccato dalla rivoluzione digitale?

Chi più di noi ha l’obbligo di fare dell’innovazione una questione diffusa?

E se non facciamo noi i conti con questa rivoluzione, se non li fa il terziario di mercato, lasciamo in debito l’intero Paese.

E dico una cosa in più a proposito delle opportunità del digitale.

Ci hanno ripetuto spesso che i nostri prodotti non sono presenti nei mercati esteri, accusando la nostra distribuzione commerciale di essere troppo “nazionale”.

Un “collo di bottiglia” che possiamo superare grazie alla tecnologia – insieme alla logistica – perché la rete, il web, non ha confini.

Investire in innovazione nel terziario significa aiutare anche l’export dell’intero Paese.

E su quest’ultimo tema permettetemi una riflessione.

Caro Ministro, sai che, per tradizione e inclinazione, abbracciamo la parabola del figliol prodigo che torna dalle delocalizzazioni. E per il quale magari lo Stato fa una “grande festa”, pensando a sussidi e sgravi fiscali.

Ecco, dopo la grande festa, speriamo in una “piccola festa” anche per chi continua a fare impresa qui, creando occupazione dentro le nostre città e dentro i nostri territori.

Perché il nostro Paese è sempre stato un Paese “al plurale”, dal punto di vista sociale, istituzionale, economico. E questa è la sua ricchezza.

Al plurale deve essere l’attenzione ai settori economici.

E al plurale deve essere anche la dimensione delle imprese.

A questo proposito, è importante ricordare una recente sentenza del Consiglio di Stato.

Importante perchè quella sentenza assegna alla nostra Organizzazione la legittima difesa degli interessi generali del sistema delle imprese e ne siamo orgogliosi.

Ma, soprattutto, impegna una realtà come la CONSIP ad assicurare la massima partecipazione alle gare d’appalto pubbliche da parte di tutte le aziende, anche di quelle più piccole. Tutto questo a beneficio di costi e trasparenza.

Noi siamo convinti che come Associazione d’impresa più grande d’Europa non possiamo farci carico solo dei nostri interessi.

Sarebbe legittimo.

Ma sarebbe miope.

E a noi non basta.

A noi non basta perché non serve al Paese.



Iva e riforma fiscale

Le nostre sono battaglie generali, per tutti.

E allora come non pensare all’IVA.

Abbiamo apprezzato la recente lettera del Ministro Padoan che, chiedendo maggiore flessibilità sui conti pubblici, va certo nella direzione giusta. Ma non ci rassicura.

E ci preoccupano tutte le ipotesi di scambio tra aumento dell’IVA ed altre misure fiscali.

L’aumento dell’IVA non è barattabile.

Convinti come siamo che con l’aumento dell’IVA scenderebbe “il grande inverno” dei consumi sul nostro Paese.

Convinti come siamo che aumentare l’IVA significherebbe far crescere il già insostenibile peso fiscale su famiglie e imprese, penalizzare i redditi più bassi e, quindi, rinunciare ad ogni credibile prospettiva di sviluppo.

E’ una battaglia giusta.

E le battaglie giuste sono quelle per cui vale la pena combattere. E continueremo a farlo. Per noi e per tutti.

Certo, sappiamo bene che l’IVA è solo la punta dell’iceberg: sotto c’è tutta la questione fiscale che va affrontata e risolta.

Il nostro sistema fiscale è troppo oneroso, complesso, ingiusto.

Facciamo solo un esempio, la tassa sui rifiuti, la Tari. Nonostante la riduzione nella produzione dei rifiuti, in soli 5 anni è cresciuta del 48%.

Qualcosa non torna.

Anche perché - per dirla con uno slogan, che però non è una battuta - a forza di addizionali, siamo passati dall’addizione alla moltiplicazione delle tasse.

Il nostro Paese ha, dunque, bisogno di un sistema fiscale semplice, equo, capace di assicurare stabilità e certezza.

Un sistema che si giustifichi nei costi per le imprese e che sia comprensibile dagli imprenditori.

Non capiamo come mai per le piccole imprese in regime di cassa non sia stato consentito il riporto delle perdite, con un costo aggiuntivo di 300 milioni di euro.

Non capiamo, poi, perché le imprese del terziario debbano lasciare ad altri settori quasi un miliardo di euro all’anno per le tariffe Inail. Un avanzo strutturale che ci fa richiedere una più equa ripartizione dei costi. Aggiungo poi il contributo di malattia che le nostre imprese versano all’Inps in misura doppia rispetto al fabbisogno.

E infine, non capiamo come per la burocrazia un’impresa debba impiegare 240 ore l’anno, 100 ore in più della media europea.

Siamo convinti che il rapporto tra fisco ed imprese vada ricostruito su basi diverse.

A partire da una ragionevole e generalizzata riduzione delle aliquote IRPEF.

E’ un tema, in fondo, di collaborazione.

In questo senso, apprezziamo la riforma degli studi di settore, che semplifica la vita delle imprese.

Una riforma che abbiamo voluto fortemente e che ha come caratteristica il cambiamento di un verbo: invece di “reprimere” si usa “prevenire”.



Il credito

E, se il tema del fisco è anche un tema di competitività, lo stesso vale per il credito.

Pur sforzandoci di cogliere i marginali segnali di ripresa nei primi mesi di questo anno, dobbiamo ricordare che dal 2011 ad oggi lo stock dei finanziamenti per le aziende si è ridotto di circa 120 miliardi di euro.

Certo la responsabilità non ricade interamente sul sistema bancario, che per noi resta il partner privilegiato per liquidità ed investimenti.

Ma non possiamo dimenticare la profonda sfiducia, diventata anche disperazione in alcuni casi, di tanti imprenditori e cittadini per la crisi di alcune banche di territorio.

Perdere i risparmi di una vita di lavoro è un tradimento per il presente e per il futuro.  

Anche in questo vuoto, s’inserisce il ruolo delle associazioni e dei Confidi.

Siamo convinti che nella fase di ripensamento del Fondo di Garanzia nazionale si possa tornare alle origini: dare garanzia a chi dà garanzia.

Alla fine, è una questione di fiducia.

E parlando di fiducia, mi viene in mente uno dei settori della nostra rappresentanza che abbiamo chiamato altre volte proprio “il settore della fiducia”.



Il turismo

Parlo del turismo.

Il turismo nasce da una scelta fiduciaria delle persone quando decidono, ad esempio, di venire in Italia.

E sviluppando appieno le sue potenzialità, la filiera turistica potrebbe dare un’iniezione di fiducia all’intero Paese.

La stessa produzione manifatturiera beneficia di quel fattore decisivo che è l’immagine del Paese, e che è promossa ogni giorno dalle imprese turistiche.

Dietro ad un prodotto, c’è sempre un’“etichetta emotiva”, che racconta lo stile italiano composto di cultura, ambiente, qualità della vita.    

In questo senso, l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Piano strategico del Turismo è senza dubbio un provvedimento importante che ricompone il quadro, realizzato anche con il nostro contributo, e per il quale ringrazio il Ministro Dario Franceschini.

Ora occorre dar seguito ai Piani operativi. In grado - certo - di rafforzare i nostri consolidati asset turistici, ma anche quelle mete troppo spesso nascoste, dell’Italia dei borghi e dei territori. 

E proprio nei Piani operativi c’è l’esigenza – ad esempio – di ampliare la platea e le risorse per il credito d’imposta per chi investe, ammoderna e sviluppa le attività.

Così come crediamo non sia più rimandabile l’intera deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali e del costo degli stagionali dall’IRAP.

Ci sono temi vecchi da sciogliere, ma anche rivoluzioni nuove da affrontare.

Pensiamo al tema della sharing economy e al suo impatto nel settore turistico e dell’accoglienza. La dico così: stesso mestiere, stesse regole.

E lo dico pensando anche alle decine di migliaia di aziende balneari, ricettive, della ristorazione, dell’intrattenimento, della nautica da diporto.

Non è possibile che non venga riconosciuto quel lavoro continuo, appassionato e innovativo che ha costruito “mete” turistiche valorizzando quel demanio, altrimenti male utilizzato, per non dire abbandonato.

E ancora, cari amici, è troppo facile sostenere – ad esempio - che i prezzi della nostra economia turistica sono alti, se poi un albergo italiano paga il 60% in più di energia rispetto ad uno francese.

E aggiungo: tanto più se la “tassa di soggiorno” non serve per rilanciare la qualità dell’accoglienza turistica, ma finisce solo a tappare i buchi delle strade o dei bilanci.



Il divario Nord-Sud

La rete delle imprese turistiche significa per l’Italia sviluppo diffuso e lo sviluppo diffuso riempie ancora una volta i “vuoti”, le fratture. Come quella tra Nord e Sud.

La questione Meridionale è una questione nazionale.

I dati dicono che l’Italia è un Paese sempre più diviso perché la crisi ha scavato solchi ancora più profondi tra Mezzogiorno e Centro-Nord, sia in termini di ricchezza prodotta, sia di consumi.

Differenze territoriali si riscontrano, certo, anche negli altri Paesi europei. Ma quelle tra länder tedeschi, ad esempio per il reddito pro capite, sono la metà di quelle tra le nostre regioni.

Su tutto il Paese pesano i deficit strutturali, ma sul Meridione pesano molto di più.



Trasporti e logistica

Deficit strutturali, dunque, a partire da quello dei trasporti e della logistica.

Un tema centrale per il Paese, che richiede investimenti di prospettiva temporale in una prospettiva globale.

Dobbiamo guardare oltre il nostro giardino di casa.

E faccio solo l’esempio della strategia cinese che sta privilegiando il collegamento diretto del porto del Pireo con l’Europa centrale, dentro la nuova “via della seta”.

Anche qui, se non ci muoviamo per tempo, c’è il rischio di marginalizzare le nostre autostrade del mare, il cruciale sistema dei nostri porti.

Su questo, il Governo ha varato il documento Programma “Connettere l’Italia”, allegato al DEF.

Da parte nostra - e quando dico “nostra” penso alla filiera dei trasporti che abbiamo rafforzato dentro la nostra rappresentanza - tengo ad aggiungere solo un punto. Per noi è centrale la conferma della scelta intermodale: mettere insieme cioè strada, ferro, acqua ed aria, con l’ausilio delle nuove tecnologie, per garantire la migliore mobilità possibile alle merci e alle persone.

Far correre le merci e le persone significa far correre il Paese.

 

 

Cari amici, cari Ministri,

ho voluto ricordare solo alcuni temi che crediamo strategici per l’Italia che vogliamo, e sui quali si declina la nostra attività a servizio delle imprese e del Paese.

Interpretiamo da sempre un sindacato in movimento e “di frontiera”.

Perché – come abbiamo detto altre volte - il terziario di mercato sposta continuamente i suoi confini ed estende la sua presenza nella società. Come per le professioni, che sono l’ultima sfida d’identità che ha abbracciato la nostra rappresentanza.

La Confcommercio è una forza popolare.

E al “popolo degli imprenditori” non si parla per scorciatoie.

Difendere interessi collettivi e proporre soluzioni non può essere un atto solitario, non è una “cronometro”, semmai una lunga tappa alpina.

E’ un impegno di squadra, che chiediamo ogni giorno alla nostra classe dirigente, alle tante donne e uomini che decidono di impegnarsi nella Confcommercio.

Siamo convinti che la stessa cosa valga per la politica.

Anche i partiti e i movimenti politici restano storie e presenze plurali e collettive. Possono e devono perseguire “rotte” diverse.

Ma le carte nautiche devono essere comuni, tenendo come stella polare la responsabilità e nelle vele il vento di uno spirito costituente.  

Responsabilità e spirito costituente, a partire dalla legge elettorale.

Siamo interessati ad una buona legge, che guardi al futuro. Che sia cioè condivisa, capace di garantire rappresentatività e governabilità.  

Responsabilità e spirito costituente è anche quello che cerchiamo di portare in prima persona nelle realtà dove siamo direttamente coinvolti.

Cari amici della Confcommercio,

la responsabilità ci viene richiesta ogni giorno; con la famiglia, con i collaboratori, dentro i nostri territori, nei quartieri, nelle città.

Le città. Ha ricordato il Presidente Mattarella: “le città sono un motore di sviluppo”, dove - ha aggiunto - i servizi stanno assumendo un ruolo sempre piú importante.

Le nostre imprese fanno i territori, le città, li rendono luoghi unici, li preservano, li presidiano, li promuovono.

Con il nostro lavoro quotidiano, con la nostra passione, civile e sociale, contribuiamo da protagonisti a ricucire i vuoti dentro le nostre comunità.

Persino i vuoti terribili della tragedia del terremoto nell’Italia centrale.

Come non ricordare, cari amici, le vite spezzate, le aziende distrutte.

Ma anche, come non ricordare la generosità e la voglia di ripartire di tanti nostri imprenditori.

La loro capacità di ricostruire: case, aziende, speranza.

E la Confcommercio è stata ed è con loro.

Perché, cari amici, non si fa impresa nel terziario di mercato senza farsi carico degli altri.

Senza la solidarietà operosa che si fa gesto, contributo, rispetto.

Senza i valori che si fanno vita nel coraggio, nella dedizione, nella tenacia.

Come abbiamo fatto sempre.

Lo abbiamo fatto ieri: quando ci descrivevano come semplici bottegai, come gregari dello sviluppo, e noi comunque abbiamo assicurato occupazione e benessere diffuso.

Lo facciamo oggi, da imprenditori, con la responsabilità di rappresentare la spina dorsale di questo Paese, ricucendo le distanze: tra generazioni, tra territori, tra gruppi sociali, tra settori tradizionali e innovativi.

Lo faremo domani.

Domani, cari amici, saremo ancora una grande forza popolare.

Che non lascerà indietro nessuno, ma dalla quale dipenderà la qualità del lavoro, dell’impresa, dello sviluppo equilibrato di un Paese più moderno, di un Paese più giusto.

Questa è la nostra storia, questa la nostra presenza, questo il nostro futuro.

Il futuro di tutti.

09/06/17
Categoria: Area media

Tipologia: Scenario nazionale
+ Info su: Sangalli , Carluccio Sangalli , Presidente Sangalli ,

 
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