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Giurisprudenza - La soggettività passiva IVA è determinata dall’attività abituale e stabile

In merito alle condizioni che possono integrare l’esercizio di un’impresa commerciale, ai fini della soggettività IVA, la Corte di cassazione, richiamando la precedente Cassazione n. 20433/2011, sottolinea che la normativa IVA prescinde dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorché non esclusiva.

L’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale.

Occorre che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità.

Inoltre, richiamando propri precedenti in tema di IVA, la Corte di Cassazione sottolinea che non può escludersi la qualità di imprenditore in capo a colui che pone in essere un unico affare, “di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni”.

Nella fattispecie oggetto della sentenza, viene valorizzata la valutazione effettuata dal giudice di merito sulla base degli elementi di fatto: in tal sede era stata ravvisato il sussistere di un’attività di impresa e, dunque, la soggettività passiva ai fini IVA, per il fatto che la persona fisica in questione “aveva acquistato un edificio, lo aveva ristrutturato, ricavandone un numero, superiore a quello originario, di unità immobiliari, che aveva singolarmente venduto a terzi estranei all’ambito familiare nel periodo di imposta considerato”

(Sentenza della Corte di Cassazione  n. 36992 del 16 dicembre 2022).


19/12/22