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Il principale obiettivo della politica economica non può che essere la crescita nella consapevolezza che la solu-
zione non risiede nel vecchio slogan “meno Stato, più impresa”, ma nella partnership impresa-Stato per orientare i pro-
cessi di accumulazione del capitale.
Questo non significa far rivivere il modello dello Stato imprenditore, ma affermare il suo ruolo di promotore dello
sviluppo con lʼadozione di strumenti normativi, che possano disincentivare gli investimenti nei mercati saturi e favorirli
in quelli caratterizzati da un trend favorevole della domanda.
Agli antipodi di questo concezione si pone la teoria liberista del mercato, che nel settore della distribuzione com-
merciale ha completamente fallito lʼobiettivo di migliorare la qualità del servizio, di contenere la dinamica dei prezzi, di
assicurare redditività adeguata agli investimenti.
In un contesto europeo dove il prodotto interno lordo dal 2008 al 2012 è cresciuto più del 2% solo in Germania
lʼinferiorità del nostro Paese è evidente.
Gli anni associati a variazioni di segno negativo presentano contrazioni più ampie e nette, mentre quelli caratte-
rizzati da un incremento evidenziano valori sensibilmente più contenuti.
Nelle stime dellʼInps sullo scenario della spesa previdenziale fino al 2050 questa debolezza strutturale si con-
cretizza nellʼipotesi di un tasso di crescita medio annuo del 1,5%, la performance che lʼItalia ha espresso dallʼinizio
degli anni novanta in poi.
È proprio questo il destino economico del nostro Paese? È probabile in assenza di un cambiamento radicale
della politica economica, perché da solo il nostro sistema produttivo ha disinvestito nei settori tradizionali senza riuscire
a compensare quelle perdite di capitale e lavoro con gli investimenti nelle nuove tecnologie, nella green economy, nel-
lʼeconomia digitale.
Nel pensiero economico liberista questa debolezza competitiva nel mercato globale è conseguenza di un
eccesso di regolamentazione che ostacola la selezione del mercato, proteggendo le aziende tradizionali a danno di
quelle innovative.
Secondo questa impostazione la rimozione dei vincoli e la liberalizzazione dellʼaccesso al mercato elimina la
causa del ritardo di sviluppo, avviando il recupero di efficienza, lʼinnovazione e lʼaccumulazione del capitale.